Per stipulare una polizza assicurativa, le compagnie di assicurazione presentano frequentemente agli interessati un questionario assicurativo finalizzato a raccogliere informazioni rilevanti per la assunzione del rischio.
Si tratta in particolare di un elenco di domande, impaginato su modulistica della compagnia assicurativa, con cui quest’ultima chiede all’assicurato di fornire indicazioni su circostanze che consentono alla stessa di valutare se – e a quali condizioni – assicurare il rischio sottopostole.
Il questionario ha nella prassi una applicazione generalizzata, venendo impiegato per moltissimi prodotti assicurativi: dalle assicurazioni contro la responsabilità civile (es. D&O, responsabilità professionale) alle assicurazioni contro i danni (es. polizze “all risks”), passando per le polizze RCT/RCO, RCProdotti ed infortuni, senza dimenticare l’assicurazione sulla vita.
Ma che succede se l’assicurato rende dichiarazioni inesatte o reticenti in relazione alle domande incluse nel questionario presentatogli dalla compagnia?
Se in teoria è possibile che l’assicurato veda ridotto o non percepisca affatto il pagamento dell’indennizzo assicurativo (artt. 1892-1893 c.c.), nella pratica la risposta dipende dal tenore del questionario.
Infatti, l’importanza di usare un questionario ben redatto è stata recentemente ribadita dalla Cassazione in un caso del 2022, in cui la domanda di garanzia avanzata dall’assicurato è stata rigettata proprio per dichiarazioni inesatte o reticenti rese dall’assicurato nel questionario.
Va premesso che la dichiarazione, come noto, è rilevante ex art. 1892 c.c. quando possiede tre caratteristiche: è inesatta o reticente, è stata resa con dolo o colpa grave, e risulta determinante nella formazione del consenso dell’assicuratore. Per l’assolvimento di un così gravoso onere della prova posto a carico dell’assicuratore, il questionario può rivelarsi determinante.
In particolare, nel precedente in discorso, la Suprema Corte ha ritenuto integrate le suddette tre caratteristiche valorizzando il testo del questionario, ravvedendo cioè:
- la reticenza, in quanto a fronte della richiesta nel questionario di riferire se, negli ultimi cinque anni, l’assicurato avesse o meno sofferto sinistri della stessa natura di quelli indennizzabili, egli aveva omesso di dichiarare che aveva subito due anni e mezzo prima un sinistro analogo (i.e. danno da incendio che aveva interessato altro immobile dell’assicurato);
- la rilevanza della reticenza per la conclusione della polizza, in quanto – come confermato anche dall’istruttoria espletata – tale sinistrosità era strettamente attinente al rischio assicurato (i.e. polizza multirischi comprendente l’incendio doloso), dunque costituiva una circostanza indispensabile per dare all’assicuratore un quadro completo sulla consistenza del rischio;
- la colpa grave, in quanto a fronte del suindicato tenore mirato del questionario, l’assicurato doveva essersi reso conto della rilevanza del precedente sinistro sulla determinazione delle condizioni della nuova polizza, ma aveva comunque formulato domanda di manleva nei confronti dell’intermediario broker, così negligentemente attribuendo a questi la responsabilità della compilazione di un questionario “reticente”.
Alla luce di un simile precedente, è possibile affermare che un questionario ben redatto può rivelarsi idoneo ad “alleggerire” anche sensibilmente il predetto onere probatorio in capo alla compagnia, permettendo di non corrispondere l’indennizzo assicurativo in applicazione dell’art. 1892 c.c. laddove vi sia stata una non corretta rappresentazione del rischio da parte dell’assicurato.